martedì 19 novembre 2013

Pietro Rizzi, il calzolaio più fedele di Venezia


Venezia - Era il 1960, e in “Calle della Scuola” c'era un magazzino pieno di muffa, topi e immondizia. Pietro Rizzi aveva 23 anni, due mani che andavano a nozze con tacchi, suole, fodere e tomaie, e pochi grilli per la testa. Voleva fare il calzolaio, punto e basta. Ha preso quel mucchio di “scoasse” e le ha buttate via, ha dato una bella ripulita al magazzino e un po' la volta se l'è comprato, trasformandolo nella bottega in cui lavora da 52 anni e dalla quale sono passate tre, in alcuni casi quattro, generazioni di signore e signori.

Da oltre mezzo secolo, Pietro è sempre lì a cambiare cerniere agli stivali, a rifare a mano i tacchi di gomma, a mettere a posto le maniglie delle borse e ricucire tomaie sgangherate che vogliono resuscitare. Cinquantadue anni di passione, ma soprattutto di cambiamenti e di consolidato pendolarismo: «Mi alzo tutti i giorni alle 6.30, alle 7 prendo il bus e vengo qui». Pietro Rizzi ha 75 anni, è il calzolaio più anziano di Venezia e pare essere allergico a tutto ciò che è tecnologico: «Adesso per pagare l'Inps devo usare il “pin” – dice sconfortato – Ma cosa volete che ci faccia io con il pin, sono di un'altra epoca». 


E non c'è che dire: di un'altra epoca è lui, e lo è pure la sua bottega, dove tutto è rimasto immobile dagli anni Sessanta, eccezione fatta per le condizioni in cui arrivano le scarpe dei veneziani. Di fatte come “Dio comanda” se ne vedono poche e in alcuni casi non c'è speranza: «Davanti a certe cineserie di plastica getto la spugna», dice Pietro. 


E racconta la sua storia: «Io abitavo alla Giudecca, quando al Molino Stucky si faceva ancora la pasta e l'isola era il cuore industriale di Venezia. A 15 anni sono andato a lavorare nel negozio dove compravo le scarpe». «Così, dal nulla, il proprietario mi ha chiesto di dargli una mano nelle riparazioni ed è cominciato tutto – continua – 500 lire alla settimana, che più tardi sono diventate mille in una bottega di Venezia, e poi il matrimonio, il trasloco in terraferma e la mia vita qui». Ha lasciato da giovanissimo il centro storico perché, anche mezzo secolo fa, comprare una casa a Venezia era un'impresa da folli: «Io e mia moglie stiamo bene in terraferma, abbiamo avuto un figlio, un nipote e ora abitiamo a Zelarino».«Quando ho iniziato a lavorare c'erano oltre 200 mila abitanti e per fare bene il calzolaio dovevi marciare ed essere bravo: c'era una concorrenza spietata perché eravamo davvero in tanti – continua – Ora siamo meno di dieci. Venezia resta la mia città ma un po' mi mette tristezza».

Tristezza o no, comunque, lui se ne sta sempre lì, a due passi dalla Scuola Grande di San Rocco, in un cantuccio in cui i veneziani vanno a farsi riparare le scarpe ma anche a chiacchierare. Accanto al tavolo di legno che odora di mastice, ci sono sempre due sedie vuote. Tanti anni fa le hanno notate pure Alain Delon, che con Pietro si è concesso una pausa sigaretta (era una Gauloises) dal set di Marco Polo, e il caro “Foresto”, il ritrattista dei veneziani scomparso da poco nella solitudine con cui è diventato una dei più grandi illustratori del Novecento: «Quel Giorgio De Gaspari...lo ricordo come se fosse ieri. È venuto qui dentro con la barba lunga, il tabarro, la cartella dei disegni e un paio di zoccoli in stato pietoso – racconta - Pensavo che volesse la carità, invece mi ha chiesto di aggiustargli le scarpe gratis perché non aveva una lira. E guarda qui, accanto a me, cosa mi ritrovo? Un suo ritratto come ringraziamento. È uno dei regali a cui sono più affezionato».

Testo e foto di Silvia Zanardi

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