venerdì 20 dicembre 2013

I panettoni di Rosa Salva, una tradizione dolce



Lo staff della pasticceria storica veneziana "Rosa Salva" di Calle Fiubera. In questi giorni si sfornano i panettoni
Venezia - Inutile. Passano le epoche, cambiano i volti, le architetture, gli strumenti, ma il profumo di pasticceria lungo le calli è sempre quello che ti fa allentare il passo, per affidarti al sapore del caffè e a un fiore di pasta frolla che cambia la giornata. Finalmente, dunque, sta arrivando il Natale, il giorno in cui ci si ferma e si sta a tavola fino a tardo pomeriggio, l'unico dell'anno in cui, crisi o non crisi, il panettone è sempre di casa. Nel laboratorio della storica pasticceria veneziana Rosa Salva, in Calle Fiubera, questo momento è ancora un miraggio.
L'impasto del panettone dei "Rosa Salva"
 Lo sanno bene Ermenegildo Rosa Salva, per tutti “Lalo”, e i suoi figli Antonio ed Enrico, che insieme sono la sesta generazione dell'azienda gastronomica fondata nel 1870 da Andrea, il cuoco-pionere che mise le ruote alla sua cucina per portare pranzi e cene a domicilio in tutto il triveneto. Fra forni, impastatrici e tavoli da lavoro pieni di delizie, in Calle Fiubera si procede a ritmi serrati per sfornare quei 3.500 chili di panettone che, anche quest'anno, entreranno nelle case dei veneziani, dei veneti e dei tanti italiani affezionati 


Panettoni decorati con glassa e caramelle
alla firma in corsivo che coccola i palati da fine Ottocento. Ma non solo: nella frenetica squadra di Rosa Salva c'è chi corre su e giù per il laboratorio con i nastri lucidi per chiudere i pacchi di Natale, chi mette a punto gli ultimi tacchini per i clienti che non cucinano ma ordinano i buffet a domicilio, chi aggiunge l'ultima casetta di zucchero ai tronchetti di cioccolata e chi, naturalmente, continua a servire caffè, cappuccini, brioches e budini al bancone del bar. È tempo di corse ma anche di ricordi, sempre pronti a spuntare dal cassetto dell'azienda veneziana che con i suoi ambitissimi catering ha messo a tavola re e regine, conti e contesse, presidenti della Repubblica, cantanti, attori e persino il duce: a Vittorio Veneto, nel 1923.
Ora che siamo nel pieno delle feste, è bello parlare di panettoni e creme chantilly, immaginando un laboratorio di pasticceria in bianco e nero ma pieno di quel profumo che sa di casa. “Lalo” ricorda bene com'era la vita di un pasticcere natalizio che non conosceva la tecnologia: «Quando ero bambino, negli anni '50, in laboratorio c'erano i forni a carbone e le celle di lievitazione. L'impasto del panettone veniva messo in una botte di Marsala tagliata a metà, a cui venivano attaccate delle ruote per trasportare il tutto nelle celle».«I pasticceri dormivano in laboratorio e spesso ci dormivo pure io, dentro il cassettone di un mobile – racconta ancora Lalo – Quando le varie fasi di lievitazione terminavano, si alzava un'asticella, scattava l'allarme e i pasticceri scendevano dal letto per lavorare l'impasto».
Non solo panettoni, ci sono anche i tronchetti natalizi
I tempi di preparazione di un panettone artigianale come quello di Rosa Salva sono lunghissimi, oggi come allora: dall'impasto al confezionamento passano 24 ore. «Impastiamo la sera – raccontano “Lalo” e Antonio – Dopo una lievitazione di 12 ore aggiungiamo gli agrumi e l'uvetta e lasciamo lievitare per altre due ore negli stampi, re-impastiamo il tutto a mano, procediamo con le ultime sei ore di lievitazione e con la cottura, che va dalla mezz'ora alle tre ore». Nel laboratorio di Calle Fiubera si producono dai 110 ai 220 chili di panettone al giorno. «Oggi la tecnologia aiuta molto – confessa Antonio – Le temperature sono regolabili e i lieviti stabili, riusciamo a programmare la produzione mantenendola artigianale ma con ritmi semi-industriali».

Velocità, tecnologia, grandi volumi, e tanta contabilità, che al secondo piano della pasticceria in Calle Fiubera si accumula quotidianamente. 
Rosa Salva è un'azienda storica in linea con la frenesia moderna, ma piena di ricordi, e anche di nostalgia, per i tempi in cui i nonni attaccavano i conti scritti a mano sulle ante degli armadi, l'ufficio era un tavolino a pochi passi dal bancone dei dolci e le signore in pelliccia aiutavano a curare il radicchio in laboratorio: «In fondo, però, la nostra pasticceria è sempre il solito porto di mare – chiudono Lalo e Antonio – Di qui passano i figli dei figli che hanno conosciuto i nostri nonni e bisnonni: lavoriamo in uno spaccato di venezianità ancora pieno di calore».

Testo e foto di Silvia Zanardi

giovedì 12 dicembre 2013

BrAgorà, il negozio dove si ricicla tutto


Nel negozio "Bragorà", vicino a Campo della Bragora a Venezia, tutto, ma proprio tutto è riciclato: anche i mobili dell'arredo
La caffettiera-lampada di Sara Trentini
Venezia – Prima dell'inaugurazione, i veneziani di Campo della Bragora si chiedevano cosa fosse: l'ennesimo negozio made in china? L'ennesima pizzeria al taglio? L'ennesimo “ripostiglio” di souvenir a basso costo? Niente di tutto questo: dallo scorso novembre, in Salizada Sant'Antonin, un negozio insolito e originale sta conquistando i residenti. Si chiama BrAgorà e tutto, al suo interno, è frutto del riciclo. Il camerino dove provarsi magliette e vestiti è una vecchia cabina telefonica, il bancone è un frigo da ristorante, la cassa è una Olivetti degli anni Settanta, la bilancia sembra uscita da un film in bianco e nero e un'intera parete è tappezzata di portabottiglie da cantina. BrAgorà è uno spazio, e un negozio, dove si comprano oggetti di design nati dall'assemblaggio e dal recupero di cimeli che tutti amiamo chiamare “vintage” e che, per questo, ci piacciono tanto. Ma chi ha creato tutto questo? La buona notizia è che lo spazio di “BrAgorà” – aperto anche a corsi, presentazioni e a matrimoni civili di qualsiasi orientamento – è un'estensione della veneziana OFFicina, il piccolo incubatore che, in Calle del Traghetto Ca' Rezzonico, è diventato famoso per le sue creazioni di abbigliamento personalizzabile (come le magliette con lo “spritz”), per la consulenza grafica rivolta ad aziende e a privati e allo smaltimento e riciclaggio di rifiuti speciali come i computer e i toner delle stampanti.
La borsa "Camoz" fatta con le vecchie vele cucite da Camilla Morelli
Replicando il “concept”di OFFicina, nel nuovo punto vendita BrAgorà convivono tre realtà: Re.Te. Srl, azienda che dal 2004 si occupa dello smaltimento, riciclaggio e riutilizzo di rifiuti speciali; Dei Rossi Shipping-Hi log, casa di spedizione specializzata nella laguna di Venezia che esegue trasporti in tutto il mondo, e LaMaia Desnuda, referente nel campo della personalizzazione di abbigliamento e articoli promozionali. In esposizione, a BrAgorà, ci sono oggetti d'arte, gioielli, materiali d'arredo e di design tutti ispirati al concetto di riutilizzo di materiali di scarto. Ma, al di là della vendita, “BrAgorà è un salotto dove chiunque, abitante o turista consapevole, può incontrare persone nuove, contribuire, specchiarsi o esprimersi”, dicono i fondatori. Ed ecco una prima lista di designer emergenti che espongono e vendono i loro oggetti di uso quotidiano: ci sono i “Nati con la camicia” di Raen Bonato, che realizza nuovi prodotti con stock di camiceria non più utilizzati; i gioielli di design di Andreina Brengola; i quadri da legno di risulta di Matteo Bertelli; le borse realizzate con le vele riciclate di Camilla Morelli e del marchio Camoz2. Ci sono i prodotti delle Malefatte e le immagini del fotografo Giacomo Martines attraverso www.tonki.it; interessanti sono anche la mappa di Venezia impermeabile e indistruttibile di Palomar srl; le lampade che nascono da telefoni e caffettiere di Sara Trentini; le insegne luminose dello studio architettura-design Ata (www.riluci.it); le ceramiche di Andrea Reggiani e le sculture giapponesi di Masaru. 


Pubblicato il 12 dicembre su La Nuova di Venezia e Mestre www.nuovavenezia.it

giovedì 5 dicembre 2013

Quante cose ha per la testa Monica Daniele...

Monica Daniele nel suo atelier veneziano di cappelli e tabarri in Calle del Scaleter. Il negozio è una miniera di colori e fantasia. 

Venezia - Da vent'anni, Monica Daniele trascorre le sue giornate nella casa dei cappelli, il negozio tutto colori, mistero e fantasia che, lungo Calle del Scaleter, è impossibile non notare. I più timidi si fermano davanti alla vetrina per curiosare, i veri e fedeli amanti del copricapo individuano subito il loro habitat naturale. Dentro c'è di tutto: ci sono pile di intramontabili panama, che arrivano dall'Ecuador, i modelli pork pie da uomo, che piacciono tanto ai musicisti, un'infinita serie di cappelli di lana che esplodono di creatività e una famiglia di inimitabili cappellini da cerimonia. Inimitabili, certo, perché nascono tutti dalle idee di Monica, così come i cerchietti da donna perfetti per i matrimoni con quel tocco di “british”.

Non è sempre facile, nel suo negozio particolarissimo, capire dove ci si trova: c'è l'angolo dei copricapi da uomo, dal quale spunta il gettonato modello “Corto Maltese”, quello dei cappelli di paglia, in assoluto i più indicati per ripararsi dal sole estivo, e quello pieno di femminilità che salta all'occhio come un intrico di velette colorate, piume, bottoni, uccellini, fiori e nastri che fanno tanto pensare a Kate Middleton e alla Regina d'Inghilterra. Monica Daniele crea e decora a mano gran parte dei suoi copricapi e un'altra parte raggiunge la laguna arrivando da aziende internazionali che li realizzano in base a modelli da lei commissionati.

L'amore per la moda ce l'ha nel sangue: cresciuta in una famiglia di sarte, ha iniziato a riempire della sua arte questo negozio all'inizio degli anni Novanta, quasi per caso: «Mi ero diplomata all'Accademia – racconta – ma più che una carriera da pittrice, mi interessavano molto il recupero dell'usato e la sartoria. Dopo aver aperto un negozio vintage nei pressi di Campo San Polo, mi sono specializzata in cappelli e ho avviato questa attività, che tuttora mi dà molte soddisfazioni».

Un ringraziamento va alle tante signore anziane che al suo primo negozio, bussavano per chiedere caldi cappelli per l'inverno: «Mi sono resa conto quasi subito che indossarli, per i veneziani, è indispensabile: camminiamo sempre a piedi, esposti al gelo dell'inverno e al caldo dell'estate – spiega Monica Daniele – Per questo ho deciso di dedicarmi a essi affiancandoli ai tabarri, che i diplomatici europei amano tanto indossare sopra lo smoking».
I tabarri sono da sempre l'altra specialità di Monica, complementare a quella dei cappelli, grazie ai quali nascono originali e vistose combinazioni. Una su tutte: quella con il classico tricorno veneziano. Addirittura Steve Jobs ha comprato da lei un tabarro, attraverso la sua agenzia. «Di cui sono passati diversi clienti famosi – racconta la modellista –. Il batterista dei Metallica, per esempio, e poi Donald Sutterland, Susy Bladi, Giuliana Sgrena. Ho una buona clientela di giovani, di cui molti “addetti ai lavori” del settore moda o cultori di stili avantgarde, fino ai dandy molto attenti ai dettagli».
Uno dei modelli di cappello più richiesti è il Fedora tinta vinaccia, ispirato a un'immagine in cui il poeta Ezra Pound ne indossa uno simile. E se nel nutrito gruppo di clienti affezionati ci sono ancora molti veneziani, Monica Daniele si è ormai abituata a parlare diverse lingue. «Gli australiani sono sicuramente fra i più colti e attenti amanti del cappello – spiega –. Sono abituati a portarlo per proteggersi dal sole e cercano soprattutto la morbidezza dei materiali». Ma un vero boom, in fatto di cappelli, sta interessando il pubblico giapponese: «Negli ultimi anni ho servito moltissimi turisti provenienti dal Giappone, che prestano molta attenzione a riparare il capo dai raggi del sole, fatali per il cancro alla pelle».